martedì, ottobre 30, 2018

Levico dopo il disastro

Alla prima pausa di pioggia dopo il disastro sono andato a vedere il lago di Levico: dal passo del Cimirlo si transita bene e a Pergine non si notano danni: la strada che scende al lago di Levico dai pressi degli Assizi e chiusa per alberi di traverso. Faccio il giro e scendo   a Visintainer e riesco ad arrivare il lago. La passeggiata lungo lago, dopo le villette dei tedeschi è intransitabile per continui tronchi di traverso: dal lato opposto il lago è forse peggio. Torno sui miei passi e seguo la provinciale.
E scendo in fondo al lago a vedere i danni: molti alberi secolari sono a terra. Proseguo verso Caldonazzo per provare a risalire la mulattiera per i Campeghreri: è disastrata dall'acqua e dopo un pò mi arrendo per una serie di tronchi invalicabili con la bici che intasano una valletta. Mi rassegno a tornare a casa per asfalto da Bosentino con il triste presentimento che per un bel pò non si potrà che andare su asfalto.




 In fondo al lago di Levico


Il disastro

Dopo un mese di siccità e sentieri polverosi, dopo un paio di pomeriggi a quasi 30 gradi in ci si faceva il bagno al lago come d'estate, è arrivata l'acqua. Ma quasi subito ci si è accorti che era troppa: in 2 giorni la pioggia di due mesi. Ma il peggio non è stata l'acqua: è stato l'uragano che ha distrutto in un attimo ettari di foreste in Trentino, Alto Adige e Veneto. Milioni di alberi secolari sradicati o spezzati a terra. Paesaggio irrimediabilmente rovinato e l'habitat di bikers e sciatori distrutto. Ci vorranno 100 anni per ripristinare le foreste, ammesso e non concesso che passino altri 100 anni prima di rivedere un evento simile. Di fronte ad un simile disastro viene da pensare a come è trascurabile il nostro misero sforzo di preservare l'ambiente: una perturbazione in poche ore ha fatto molto peggio che se si fosse realizzato un carosello di impianti per collegare Lusia alla Panarotta attraverso il Lagorai. E purtroppo non è un evento eccezionale: già ne avevamo avuto un assaggio l'anno scorso su scala molto più ridotta.
 Dopo la siccità le salamandre si godono la pioggia

 Fersina e Adige altissimi







Strage di alberi in Costalta











giovedì, ottobre 25, 2018

Parolet

Dopo il giro non esattamente ciclabile della forcella Moschesin, oggi l'intenzione era di fare un giro vicino a casa, bello e senza scendere dalla bici. La scelta è andata sul Parolet: noto, impegnativo, ma non eccessivamente.Rispetto alla salita dell'anno scorso, abbiamo preferito la classica e comoda salita dalla malga Brigolina con una piccola deviazione sui Rostoni per andare a vedere l'imbocco del sentiero dello Strigidor. (che proverò prossimamente). Alla sella del Parolet abbiamo deciso di lasciare per un'altra volta il 626 (quando avremo digerito la Moschesin e ritrovato un pò di voglia di avventura). Imbocchiamo il 692 e riusciamo anche ad evitare con un comodo tornante il tratto più ripido che ci aveva costretto a scendere in qualche passaggio. Ma, finite le difficoltà, ci siamo lasciati attrarre dal 693. Grave errore: dopo un primo traverso inizia un lungo tratto ripido, ingombro di sassi e solo in brevi tratti ciclabile, quasi come il giro della Moschesin. Poi, a casa, guardando sulla Kompass online, vedo che il 693 è segnato a puntini, quindi più difficile del 626 che scende dal vallone di Ravina. 
















Traccia

martedì, ottobre 23, 2018

Forcella Moschesin

Partiti da Torner (poco prima di Agordo), siamo saliti su una lunghissima strada militare (probabilmente realizzata dopo l'invenzione dei veicoli con le marce ridotte) a tornanti sull'impervio fianco sinistro della valle. La strada somiglia a quella del Totoga ma ha mediamente un 5% in più di pendenza e fondo erboso che aumenta l'attrito delle ruote per cui si arriva in cima già piuttosto provati. Dopo una pausa al sole per rifocillarci, giriamo su stretto sentiero sul versante all'ombra con freddo invernale. Quasi subito il sentiero costringe a scendere e iniziamo un interminabile traverso mediamente in salita dove solo sporadicamente si riesce a salire in sella che mi fa chiedere perchè ho portato la bici. Panorama fantastico, ambiente solitario e selvaggio, ma sicuramente un sentiero da fare a piedi e con gli scarponi. Dopo oltre un'ora di faticosa spinta quando non trasporto della bici, finalmente un tratto di sentiero percorribile in sella che in breve diventa una sterrata fino a malga Foca dove si trova anche una prima fontana per dissetarci. Si riparte in salita forte e poi di nuovo a spinta su sentiero per altri 400 metri di dislivello fino alla forcella Moschesin dove sarebbero finite le fatiche per iniziare la discesa a Zoldo dalla val Pramper per poi rientrare su asfalto dal passo Duran. Alla forcella mi accorgo di non avere il telefono e ricordo di averlo utilizzato l'ultima volta in cima alla strada militare. E' nuovo e, a malincuore, lascio completare il giro ai miei compagni e ritorno sui miei passi. Il primo tratto di sentiero fatto a spinta in salita è divertente ma, tornato al tratto non ciclabile al ritorno non è meglio che all'andata e, percorrerlo 2 volte porta a 4 ore di trasporto su 7 del giro. Per fortuna almeno ritrovo il telefono ( visto il passaggio probabilmente l'avrei ritrovato anche l'anno prossimo) e calo a valle lungo l'interminabile militare con grande utilizzo dei freni. Incredibilmente arrivo alla macchina contemporaneamente agli amici che hanno fatto il giro completo evitandoci così una lunga attesa al freddo.




 L'Agner








 Pelmo
 Marmolada

 La Moiazza



























 Il Tamer
 Pelmo e sotto, Gusela del Vescovà

Traccia


Traccia del giro che avrei dovuto fare

(Credo che il modo migliore di fare questo giro sia partire da Agordo, andare a Zoldo dal passo Duran, salire dalla val Pramper alla forcella Moschesin, e arrivati a malga Foca scendere direttamente ad Agordo senza fare l'assurdo traverso per raggiungere la militare che scende a Torner)