martedì, novembre 24, 2015

Ferrata Che Guevara al Casale in bici

Il confine fra un’impresa e una cazzata è molto poco definito e soggettivo. In questo caso, comunque, non ho corso grandi rischi (mi sono assicurato e, alla peggio, avrei dovuto abbandonare la bici), non ho fatto troppa fatica (sorprendentemente) e mi sono divertito e, quindi, dal mio punto di vista è stata un’impresa. L’idea è nata l’anno scorso, dopo aver salito la ferrata durante l’interminabile discesa dal versante nord verso le gole del Limarò per verificare la possibilità di scendere il sentiero n.427  in bici. Anche la discesa consigliata verso sud e poi per un tratto ripido (sentiero n. 426)con cordini verso la valle del Sarca è di una lunghezza spaventosa. Forse l’idea più furba è farsi venire a prendere sotto il rifugio da un taxi (il numero per chiamarlo è in bell’evidenza sulla facciata del rifugio), ma questa mi sembrava una soluzione dispendiosa e poco elegante. Senza dubbio il modo migliore per tornare alla base sarebbe in volo con un parapendio ma, purtroppo non ho mai imparato e, quindi, non mi restava che il rientro con la mountain bike. Da parecchio tempo ero alla ricerca di un compagno abbastanza stupido da impegnarsi nell’avventura (in caso di qualsiasi problema è sempre meglio essere in due) ma nessuno era attratto dall’idea. Poi, con l’arrivo del freddo, e quindi di grossi limiti alla piacevolezza dei lunghi giri in bici, ho pensato di realizzare l’impresa da solo. Dopo un’oretta passata in garage a studiare come caricare la bici sullo zaino mi sono sentito pronto. Sono andato sotto la parete con il furgone , mi sono messo lo zaino in spalla e via. Ho incontrato 2 austriaci che andavano ad arrampicare e all’inizio mi è dispiaciuto non avere compagnia, poi ho concluso che meglio solo che con qualcuno davanti che avrebbe potuto farmi cadere qualche sasso in testa. In 20 minuti sono arrivato ai primi cordini senza troppa fatica e ho subito visto che, con calma e con un po’ di attenzione a scaricare il più possibile il peso sulle gambe, riuscivo a procedere ad una velocità accettabile con un onesto dispendio di energie. In un’ora ero già sopra l’ultimo grande terrazzo dove iniziano le grandi placche: quasi 500 metri di dislivello. Mi sono mangiato l’unica arancia che sostituiva l’acqua (che non ho portato per contenere il peso) per attenuare a sete e ho posato lo zaino per rilassare le spalle già un po’ provate. Poi, per fortuna la parete è passata in ombra e il caldo e la sete non si sono più fatti sentire. Procedevo in modo regolare e quasi sempre assicurato: non so se sarei stato in grado di tenermi su con il peso della bici in caso di qualche scivolamento imprevisto e ho pensato di evitare rischi inutili. In poco più di due ore ero già al libro di via e avevo superato tutta la parete. Rimanevano un lungo tratto di roccette rotte, mughi, tratti franosi elementari normalmente ma piuttosto laboriosi la bici sullo zaino. Rimaneva un passaggio proprio poco sotto i prati finali che mi impensieriva: una specie di camino, relativamente stretto e strapiombante, banale con un piccolo zainetto, ma un punto di domanda con un carico che sporge da tutte le parti e di peso non trascurabile. Era qui che potevo aver bisogno di aiuto o che avrei potuto dover abbandonare la bici (proprio in vista di questa eventualità ho utilizzato una bici molto leggera ma vecchia di 20 anni) o inventare qualche strana manovra per recuperarla. Invece anche sul camino, dopo aver studiato attentamente come stare il più possibile all’esterno scaricando il peso in spaccata, sono riuscito a salire con ancora un buon margine di forza nelle braccia. Poi è stata solo una passeggiata con lo zaino pesante e in neanche 3 ore e mezza avevo superato i 1400 metri di dislivello della salita al Casale. E’ stata dura ma il pensiero di scivolare a valle in sella invece che scarpinare per l’infinita discesa mi ha subito ripagato. Poi la discesa non è stata così piacevole: il freddo che non avevo percepito in salita si è fatto subito sentire e, nonostante il piumino di primaloft e i guanti da moto, già alla fine della rampa cementata avevo le dita congelate e ho dovuto usare il vecchio trucco di mettere le mani sui cerchioni scaldati dai freni per riprendere sensibilità. Ad ogni modo, bello fresco, ma in meno di un’ora ero al furgone più che soddisfatto della giornata. Con questo nuovo modo di trasportare la bici, enormemente più efficiente che portare la bici intera in spalla, si aprono nuovi orizzonti di incredibili traversate.
Chissà com’è con la FAT …..perchè con la vecchia mtb 26" con le gommette da 1,9 le possibiltà in discesa sono piuttosto contenute.



 Notte di luna piena e una stupenda alba gelida.




La parete riscaldata dal sole alla partenza. In valle fa molto freddo ma al sole mi scaldo subito anche troppo: è assolutamente sconsigliabile ripetere la mia esperienza quando non fa freddo.
 Sulle rocce del primo sperone

 Panorama verso Toblino e, sotto la mia ombra con super zaino.

 Soddisfatto per essere arrivato in perfetta tabella di marcia alle ultime placche.



 Pausa per riposare le spalle sotto la cassetta del libro della via. Sotto al centro si vede la croce della cima: è quasi fatta.


 I dolci prati del versante opposto contrastano con la parete appena superata.
 Verso la val d'Ambiez e il Ghez

 Zoom sulla parete d'Amiez: ingrandendo si riesce ad individuare il rifugio Agostini.
 Molveno e il lago.

 Cornetto e Doss d'Abramo

 Carè Alto sopra e Crozzon di Lares sotto.

 La bici rimontata e pronta per la discesa. Per legarla sullo zaino minimizzando l'ingombro avevo tolto ruote e sella.
 Il fondo del Garda e il rifugio Don Zio

 La parete in ombra all'arrivo.


7 commenti:

  1. speriamo che arrivi presto la neve, ti stanno venendo idee sempre piú "bizarre" sulle gite da fare ;-)

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    1. Speriamo, l'astinenza da "polvere" gioca dei brutti scherzi ...

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  2. tralasciando che secondo mi "te ghai dei problemi" non ti ho detto che l'altro giorno sullo stivo ho fatto la passeggiata assieme ad un tipo di arco che l'ha fatta come te un paio di anni fa. come vedi non sei l'unico mona!
    red

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    1. Ormai è impossibile fare una prima .....forse avrei dovuto farla in canoa ....

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  3. posso solo aggiungere no comment ...

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    1. sempre meglio che 8 ore in ufficio: in fondo me òa sono cavata in 4 ore e 30!
      Poi c'é sempre qualcuno più pazzo di me: http://mtb-dolomiti.blogspot.it/2015/11/SummitRide-PlattkofelSassopiatto.html#more

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  4. Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre è impossibile il contrario . MVdH

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