Ero molto scettico su una gita partendo da Sella Valsugana
quest’anno di neve non proprio abbondante, però, vista la numerosa e buona
compagnia, visto che era un posto che finora avevo considerato solo terreno da
mountain bike, ho deciso di accettare. Ho riempito il ginocchio sempre meno a
posto di crema verde (antinfiammatorio per uso veterinario col quale da anni
curo ogni dolorino) e ho deciso di ignorare i segnali sempre più evidenti che
mi arrivano da ormai un paio di mesi. Alla partenza c’è il prato innevato: meno
male: ero molto preoccupato per una lunga camminata in discesa: il mio
ginocchio per ora non ha dato problemi ne in salita ne a sciare ma camminare in
discesa …. Si sale per una lunga forestale tra i faggi con un clima nebbioso e
umido. A brevi tratti la neve è sparita e si deve togliere gli sci. Poi la
forestale finisce e si sale per un bosco nebbioso seguendo i segni rossi di un
sentiero su neve fradicia appena sufficiente per scendere senza danni. Dopo la
baita Lanzola, imboccato un canale in cui spuntano radi arbusti tenuti bassi
dalle valanghe degli anni più abbondanti di neve, si intuisce che stiamo per sbucare
dalle nebbie e che sopra ci sarà il sole. La neve è abbondante e c’è un po’ di
crosta che non fa pensare ad una gran sciata. Siamo in tanti ed evito di
tracciare: rompere la crosta mi dà fastidio al ginocchio. Poi la pendenza
aumenta e la neve si fa sempre più abbondante. Salgo dietro un ragazzo per
fortuna troppo più forte di me per potergli dare il cambio: provo ad allungare
il passo per un minimo di dignità ma, anche in traccia, il distacco aumenta. Ad
ogni zeta il ginocchio si fa sempre più dolorante ma proseguo lo stesso affascinato
dall’ambiente e senza pensare che il canale è ripido e molto carico. Se ne
rende conto anche il tracciatore che rallenta per riflettere sul da farsi. Guardo
la situazione: siamo tutti allineati lungo le zete della traccia: se parte una
valanga ci travolge tutti come birilli. Mi ricordo che non ho nemmeno acceso l’ARVA.
Mi fermo ad accenderlo: se non lo uso oggi posso buttarlo via. I bastoncini
affondano quasi completamente nel pendio e, alle ultime zete, la neve fa delle
crepe. Strano, l’ultima nevicata doveva essere di pochi cm: probabilmente i
bastoncini affondano anche nella nevicata precedente che è di qualche settimana
e quindi sicuramente consolidata. In base a queste considerazioni decidiamo di proseguire, ma uno alla volta,
per non caricare il pendio. L’instancabile e coraggioso tracciatore fa l’ultima decina di
zete e arriva senza problemi alla forcella Renzola. La paura della valanga mi
ha fatto dimenticare il ginocchio, ma appena riprendo a fare le inversioni
sento subito che peggiora ad ogni passo. Alla passo è uno spettacolo: si
vede il Verena che emerge da un mare di nebbia e i pendii finali del Portule
che non sembra troppo lontano. Un gruppo salito dal versante Veneto sta per
arrivare in cima. Alla forcella ci aspettiamo tutti, felici dello spettacolo ma
anche sollevati per essere usciti dal canalone. Al sole c’è un caldo terribile
e la neve fresca forma uno zoccolo enorme e pesantissimo sotto gli sci. E’ il
colpo di grazia per il mio ginocchio: salgo faticosamente gli ultimi 300 metri
che in queste condizioni mi sono sembrati più di 1000. Arrivo in cima decisamente
provato e dolorante(per soli 1440 metri di dislivello!!!) e mi siedo sullo
zaino. Quando mi rialzo sento che il ginocchio adesso fa un male che non ho mai
sentito: sono seriamente preoccupato per la discesa: questa volta mi faccio un
giro un elicottero (sarebbe stato meglio farlo per un giro in eliski...). Sono così preoccupato che non riesco a godere il panorama
fantastico, la giornata perfetta e la bella compagnia: anzi, continuo a pensare
che ho chiuso con lo sci e che non li rivedrò più. Dopo un’oretta in cima con brindisi e le foto di rito, inizia
la discesa. Seguo i primi: almeno, in caso di problemi qualcuno mi ripesca.
Faccio le prime curve cercando di essere il più leggero possibile: per fortuna
la neve è facile: un leggero strato di neve marcia sopra un fondo duro. Senza
troppe sofferenze arrivo in un attimo alla porta Kempel. Qui è più stretto e più
ripido e si vede un grosso accumulo di neve vecchia e dura. Uso sempre la
tecnica di scendere in mezzo al gruppo: cosi mi rompono eventuali croste e mi
evidenziano sassi o altre sorprese. Il canale è così bello che mi dimentico il
ginocchio e scendo sempre più disinvolto finchè si allarga in un
pendio di polvere così perfetta che, anche quasi con una gamba sola, è una sciata
fantastica. Incontriamo un veneziano che si è faticosamente tracciato da solo
tutto il pendio pregustando la fantastica discesa vergine: deve essere stato un
duro colpo per il povero diavolo veder spuntare dall’alto ben 15 sciatori che
gli arano tutto il canale, in un giorno lavorativo, in un posto dove, forse,
non se ne vedono così tanti in tutta la stagione.
La discesa prosegue così bella che dimentico il male e me la
godo tutta sciando come se fossi perfetto. Più in basso la neve si fa sempre
più pesante ma, con una sciata più conservativa e qualche pausa più del solito,
scendo ancora dignitosamente . Nei pressi della baita Lanzola la neve si fa
pesantissima e i numerosi arbusti costringono a traiettorie più precise e più
dolorose. Dopo una pausa alla baita affrontiamo il tratto di bosco prima della
forestale, il tratto che in salita mi era sembrato più problematico: c’è meno
neve pesante e quindi scendo meglio del previsto. Uno della compagnia rompe a
metà un Movement Bond X in carbonio, la versione successiva ai miei. Se succede
anche a me chiamo l’elicottero: non ce la farei
a sprofondare fino alla forestale… Quando vedo la strada capisco che
ce l’ho fatta. Scivolo tranquillo verso valle. Solo quando devo togliere gli
sci per attraversare un pezzo senza neve mi rendo conto che il ginocchio è
messo molto peggio del solito. Arrivo al furgone felice per l’ultima grande
sciata ma molto preoccupato per le mie future possibilità di sciare. Che senso
ha vivere in inverno a Trento se non puoi scivolare sulla neve? Che sia arrivato
il momento di trasferirsi in un posto
caldo dove si può andare in bici tutto l’anno? Mentre bevo la birra guardo i
compagni di gita con la paura di non poter condividere più una giornata del
genere.
Comunque, se fine sarà, ho finito alla grande!
P.S. Dopo una notte di sogni di stampelle, sedie a rotelle e
truculente operazioni al ginocchio, prima l’ortopedico e poi l’osteopata mi
hanno tranquillizzato: una banale infiammazione di un legamento.
Mi hanno condannato a “soli” 20 giorni di riposo (avevo
paura dell’ergastolo).
Adesso devo solo aspettare, scontare la pena, e sperare che
abbiano ragione.
Partenza a quota 870 dall'Hotel Legno: qualche metti e togli gli sci sulla lunga forestale di accesso al canale ma, vista l'annata, meglio di ogni aspettativa.
Baita Lanzola
Salita dalla val Lanzoletta
Arrivo a porta Renzola: dal mare di nubi emerge la punta del Verena
Creste del Mandriolo e cima vezzena
La Pala del Portule: noi scenderemo dal versante opposto
Verso Cima 12
Salita molto faticosa per il gran caldo e per uno zoccolo enorme.
Porta trentina
Discesa dal vallone del Kempel
Fin qui polvere fantastica: poi sempre più pesante.
Un Movement Bond X in carbonio del 2014 si spezza a metà: crolla un mito.
Dal basso la porta trentina da dove siamo scesi.